Preservare la vita aziendale non costituisce causa di esclusione del dolo

20 Dicembre 2019


Con la sentenza n. 50007/2019 la Corte di Cassazione, sezione penale, ribadisce che la difficoltà economica dell’imprenditore non integra causa di forza maggiore ai sensi dell’art. 45 c.p. e, pertanto, non è idonea ad escludere il dolo del reato di omesso versamento Iva previsto e punito ai sensi dell’art. 10 ter d.lgs. 74/2000.

Nel caso di specie, la Corte di Appello di Bologna aveva condannato il legale rappresentante di una s.r.l. per il mancato pagamento, entro il termine ultimo stabilito, dell'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per un valore pari ad euro 301.900,00 e, pertanto, superiore alla soglia di rilevanza penale pari ad euro duecentocinquantamila indicata all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000.

Avverso la sentenza di condanna della Corte di Appello di Bologna proponeva ricorso per Cassazione il difensore del legale rappresentante adducendo quale primo motivo di ricorso – che maggiormente interessa in questa sede – la mancanza dell’elemento soggettivo del reato e l’assenza di esigibilità della condotta.

La tesi difensiva si basava, in particolare, sul fatto che la crisi economica finanziaria non fosse addebitale all’imputato e che, nonostante la crisi, lo stesso avrebbe continuato a pagare i fornitori e i dipendenti nel tentativo di non interrompere la continuità aziendale.

La Corte di Cassazione sviluppa il proprio ragionamento a partire dall’interpretazione di forza maggiore fornita dalla giurisprudenza secondo la quale l’esimente ex art. 45 c.p. “sussiste in tutti i casi nei quali l’agente abbia fatto quanto era in suo potere per uniformarsi alla legge e che per cause indipendenti dalla sua volontà non vi era la possibilità di impedire l’evento o la condotta antigiuridica. Pertanto, la forza maggiore non può che riferirsi ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, impedendo di configurare un’azione penalmente rilevante per difetto del generale requisito della coscienza e volontarietà della condotta previsto dal primo comma dell’art. 42 c.p.”.

Declinando tale principio nel caso in esame, in relazione all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000, la Corte di Cassazione, richiamando un proprio precedente, rammenta che “poiché la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, sì da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, la Corte di cassazione ha sempre escluso che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante” (Cass. pen. n. 4529/2007, Cairone).

Ancor più chiaramente un’altra pronuncia richiamata afferma che “il reato di omesso versamento Iva è integrato dalla scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che la società attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte al pagamento di debiti ritenuti più urgenti, elemento che rientra nell’ordinario rischio d’impresa e che non può certamente comportare l’inadempimento dell’obbligazione fiscale contratta con l’erario” (Cass. pen. n. 12906/2018).

In conclusione, la Corte di Cassazione considera corretto il ragionamento della Corte di Appello concludendo che “la crisi aziendale non fosse assoluta e che l’omesso versamento dell’Iva fu solo il frutto della scelta volontaria e discrezionale dell’imprenditore, il quale, pur avendo le risorse, essendo risultato provato che l’Iva da versare era entrata nel patrimonio sociale, aveva scelto di pagare altri creditori”.

Cassazione penale, sez. III, n. 50007 del 04.10.2019

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